Caio Fabbricio, Venezia, Pasquali, 1744 (Caio Fabbrizio)

 ATTO PRIMO
 
 Sala dipinta di battaglie vinte e di città conquistate da Pirro. La statua equestre di lui nel mezzo, tra due trofei militari, a’ piè de’ quali stansi giacendo varie figure di greci e di romani prigionieri. Trono reale a parte e due gran porte laterali nel fondo della sala.
 
 SCENA PRIMA
 
 PIRRO con seguito di soldati e TURIO con seguito di tarentini in abito di gala e di festa
 
 TURIO
 Pirro, gran re, de’ tuoi trofei qui volle
 nelle tele, ne’ marmi e ne’ metalli
 eternar la memoria il nostro amore.
 Neottolemo, Lisimaco, Cassandro,
5Demetrio, Atene, Roma, illustri nomi, (Pirro non bada né all’apparato della sala né al dir di Turio ma va riguardando i vestimenti di lui e de’ Tarentini; e poi sottovoce parla al capitano delle sue guardie, il quale dopo si parte)
 sculti qui e coloriti,
 crescer vedi di pregio
 ne’ fasti tuoi. Tu invitto, immortal sei,
 degno germe d’Achille e degli dei.
 PIRRO
10Popolo tarentino, e qual è questa
 femminea pompa in viril gente? E dove,
 dov’è l’austera Sparta, onde traete
 l’origine vetusta? E tu, che a questa
 degenere città, Turio, sei capo,
15tal vieni a Pirro? Invece
 d’elmo alla fronte e di lorica al petto,
 qual si conviene a chi con Roma è in guerra,
 fregi di lusso in nastri d’oro ostenti
 ed in serici ammanti?
20Fine agli ozi una volta; e polve ingombri,
 dal vostro piè non trita,
 i portici e i teatri. In disciplina
 militar s’agguerrisca
 la gioventù. Sia coraggioso il braccio
25che vi difenda da minacce e torti;
 e Pirro, che è con voi, vi faccia forti. (Vien recata a Pirro una tavoletta da scrivere dal suo capitano, il quale inginocchiatosi gliela sostenta sopra lo scudo. Pirro traggesi di saccoccia lo stile da scrivere e sopra la tavoletta con esso nota, nulla badando a quello che gli vien detto da Turio)
 TURIO
 (Schiavi siam noi. Misera patria!) È questo
 per noi de’ saturnali il lieto giorno?
 Vuoi tu l’uso abolirne? Il rito? Ah, sire,
30mal ne rampogni. Allorch’uopo lo chiese,
 adoprar l’aste ne vedesti e al fianco
 rimetter sanguinosi
 dalle stragi latine i nostri acciari.
 
    Un dì sì giocondo,
35disciolti dal pondo
 di cure moleste,
 ne chiama al gioir.
 
    Poi quando ne deste
 dal breve riposo
40il suon bellicoso,
 vedrai se avrem core,
 se braccio a ferir. (Turio si parte; ma Pirro, finito di scrivere, prende la tavoletta e ordina al suo capitano che lo richiami)
 
 PIRRO
 (Quanto profonde il lusso e quanto salde
 tien sue radici!) Turio.
 TURIO
45Signor.
 PIRRO
                 De’ saturnali
 oggi si soffra la licenza; e poi
 queste qui impresse leggi
 altra a voi norma in avvenir daranno.
 TURIO
 Ubbidirem. (Tiranno). (Pirro porge a Turio la tavoletta, il quale da lui la prende, piegando a terra un ginocchio, e poi si ritira)
 
 SCENA II
 
 PIRRO, CINEA con seguito di epiroti e TURIO in disparte
 
 PIRRO
50Qui dal Tebro Cinea?
 CINEA
 Signore, io non credea,
 avvezzo ad ammirar Pirro e i suoi gesti,
 cosa altrove incontrar, di cui stupirmi.
 PIRRO
 Qual Roma a te sembrò? Quale il Senato?
 CINEA
55Quella un tempio di dei, questo un consesso
 di re.
 TURIO
              (Qui per la patria udir mi giovi).
 PIRRO
 Ma di Pirro i trofei sparso vi avranno
 e scompiglio e terror.
 CINEA
                                          Dalle sconfitte
 sorgon più alteri. Io temo
60che un’idra di più capi
 Pirro tolga a domar.
 PIRRO
                                       Ferro non basta?
 Vi saran fiamme. Un’altra
 Troia farò di Roma. Anch’io son Pirro.
 Ma Roma accetta i patti? O in sua ruina
65la superba s’ostina?
 CINEA
 L’udrai da’ suoi legati, a’ quai presiede
 Fabbrizio, uom consolar.
 PIRRO
                                                Di Sestia il padre?
 CINEA
 Di lei ch’è spoglia tua.
 PIRRO
                                           Dilla, o Cinea,
 mia vincitrice, mia regina e dea.
 CINEA
70In Pirro amor?
 PIRRO
                               Comune
 debolezza agli eroi. Ne’ miei grandi avi
 ferma il pensier. Vi troverai gli Achilli,
 i Pirri, gli Alessandri.
 Qual di lor non amò? Gli occhi di Sestia
75sul cor di Pirro han vendicato il Tebro.
 CINEA
 Sestia è romana; e il fasto
 roman più le sue toghe
 apprezza che le clamidi reali.
 PIRRO
 Arde d’ostri la mia che le dan pregio
80maggior. Necessità doma alterezza.
 CINEA
 Dall’Illirio a te in breve
 qui fia Bircenna.
 PIRRO
                                  Nozze
 da lontano segnate, io saprò sciorle.
 CINEA
 Il venir di Fabbrizio...
 PIRRO
85Mi giovi. Un picciol campo
 so ch’è la sua ricchezza.
 CINEA
                                             In sull’aratro
 sudar, segnando i solchi, io stesso il vidi.
 PIRRO
 Cinea, l’armi di Pirro han vinta Roma;
 e i tesori di Pirro
90vinceranno Fabbrizio.
 CINEA
                                           A tua lusinga,
 vedi che il tuo gran core
 troppo facili palme a sé non finga.
 
    Tanto, o re, no, non fidarti
 di tua forza e di tua sorte.
 
95   Può la sorte abbandonarti;
 e vi sono anche vicende
 per chi è grande e per chi è forte. (Sentesi il suono de’ timpani e delle trombe. Pirro ascende sul trono, stando in piedi dall’uno de’ lati, Cinea e Turio dall’altro)
 
 SCENA III
 
 CAIO FABBRIZIO con seguito di romani e i suddetti
 
 TURIO
 Vien l’orator nimico. (A Pirro)
 PIRRO
                                          Entri e m’assido. (Va sul trono)
 FABBRIZIO
 Roma, che a te salute e se vuoi pace,
100re de l’Epiro, invia, si pregia e onora
 d’aver trovato in Pirro
 un nimico che sia degno di lei.
 Nel passato conflitto
 vincesti, è ver, non debellasti; e tanto
105sangue ti costa il tuo trionfo istesso
 che, se a tal prezzo anche il secondo ottieni,
 temer puoi che al tuo regno
 non sia de’ tuoi chi vincitor te segua.
 Per Cinea, tuo legato,
110al romano Senato
 pace chiedesti. Odi. Ei risponde. Il piede
 traggi pria fuor d’Italia
 che a te nulla appartien. De’ Tarentini
 e de’ Sanniti rei più non ti prenda
115pensier. Rendi i prigioni
 o per cambio o per prezzo. E poi si tratti
 pace e amistade in vicendevol patto.
 Ma sinché in terren nostro
 si accamperan le tue falangi, s’anche
120diecimila Levini avessi vinti,
 ti farem guerra; e affolleransi i forti
 a dare il nome e ad empier le coorti.
 PIRRO
 Non crediate, o Romani,
 che interesse mi tragga, odio mi spinga
125a far guerra con voi che degni siete
 d’esser, più che nimici, amici a Pirro.
 Questi ho tolti in difesa
 popoli a voi non servi. Essi l’han chiesta;
 io l’ho concessa; e vuol ragion che all’uopo
130non si manchi agli oppressi.
 In lor pro m’interposi.
 Voi nol curaste; e mia, col vostro spregio,
 la lor causa faceste
 e la migliore già approvar gli dei.
135Ma qual giustizia è mai che mi si parli
 di rendere i cattivi,
 se ancor dell’armi ritentar la sorte
 si dee? Restano l’ire;
 e le armerò, in mio danno,
140di sì prodi guerrieri,
 esacerbati da vergogna e pena?
 No no. Vengasi a pace; e poi vi rendo
 prigioni, spoglie, armi, vessilli e quanto
 esser può testimon di mia vittoria.
145La ricchezza di Pirro è la sua gloria. (Scende Pirro dal trono)
 CINEA
 (Magnanimo rispose).
 TURIO
 (Dal suo dir spirò fasto).
 FABBRIZIO
 Dunque...
 PIRRO
                      Or non più. Venga qui Sestia al padre. (Si partono due delle sue guardie)
 Fabbrizio, assai per Roma
150si dibatté.
 FABBRIZIO
                      Già ne intendesti i sensi.
 PIRRO
 Ma tu i miei non appieno. Or fra i doveri
 di cittadino, abbiano luogo ancora
 quelli di padre.
 FABBRIZIO
                               Non ricuso il dono;
 e da Sestia udrò lieto i nuovi esempi
155della virtù di Pirro.
 TURIO
                                      (Oh! Se sapesse!)
 PIRRO
 A lei d’assidui pianti
 corron le gote e duol la preme acerbo.
 FABBRIZIO
 Con sì debole cor sostien suoi casi?
 PIRRO
 Altro che prigionia forse l’affligge.
 FABBRIZIO
160(Intendo). (Vien Sestia)
 PIRRO
                        Ella a te viene;
 e non mai più tranquille
 vidi sue belle luci e più serene.
 
    Fra le grazie di quel viso
 veggo il riso;
165ma v’è un’ombra ancor d’affanno.
 
    Quel dolor, Sestia, perché?
 Prigioniera, è ver, tu sei,
 ma d’un re, non d’un tiranno. (Si parte con Cinea e con Turio)
 
 SCENA IV
 
 FABBRIZIO e SESTIA
 
 FABBRIZIO
 Figlia, sì della patria
170non m’ingombra l’amor che a te non abbia
 dato più d’un pensiero e dirò ancora
 più d’un sospir. Ma ne’ sinistri eventi
 altro è il sentirne la gravezza ed altro
 il soccomberne al peso.
 SESTIA
175Ove tenda il tuo dir, mostrami, o padre.
 FABBRIZIO
 Troppo tu ti abbandoni
 in preda al tuo dolor. Da Pirro il seppi.
 SESTIA
 Senza te, fuor di Roma,
 vergine, in fresca etade,
180sola, in poter di re nimico. Ah! Quando
 fu più giusto dolor? Pirro i miei pianti
 disse; ma tacque i rischi;
 e le perdite mie, padre, tu sai.
 FABBRIZIO
 Queste però men gravi
185sarien, dillo sincera,
 se fra lor non contassi
 Volusio.
 SESTIA
                  O dio!
 FABBRIZIO
                                Volusio,
 da me scelto in tuo sposo e de’ tuoi primi
 soavi affetti illustre oggetto, è morto.
 SESTIA
190Morto è Volusio e desolata io vivo.
 FABBRIZIO
 Non si piangono, Sestia, i cittadini
 che cadon per la patria.
 I pianti che si danno
 a chi muor da roman fan torto a Roma.
195Egli a vista del nostro e del nimico
 campo uccise Megacle,
 in cui, dell’armi e delle vesti adorno
 reali, ebbe credenza
 d’uccider Pirro.
 SESTIA
                                E intanto
200Pirro ancor vive e il mio Volusio è morto.
 FABBRIZIO
 Morte degna d’invidia,
 non di dolor. Men ti dispiaccia il danno;
 più da’ loco a virtude.
 Lunghi non saran forse i ceppi tuoi;
205né mancheran dopo Volusio ancora
 sposi per te, che sien per Roma eroi.
 
    A lui, ch’ami tanto,
 da’ lode e non pianto;
 né salgano a quella
210sua fulgida stella
 i lai del tuo amor.
 
    Ragion, pria che tempo,
 da te scacci affanno.
 Ristoro a gran danno
215non vien da dolor.
 
 SCENA V
 
 SESTIA, poi BIRCENNA con TURIO
 
 SESTIA
 (Dispietata virtù, che ne condanni
 dove è tristezza a simular costanza,
 fa’ il tuo poter. Piangerò sempre il caro
 idolo mio perduto).
 TURIO
220In quel metallo è Pirro. (Mostrando a Bircenna la statua di Pirro)
 BIRCENNA
 Guerriera idea. (Guardando Bircenna attentamente)
 SESTIA
                                 Con Turio
 qual fia colei?
 BIRCENNA
                             Sì, Turio,
 piacemi il nobil volto,
 il cor non già, perché lo so spergiuro.
 TURIO
225Volgiti e colà mira (Additandole Sestia)
 quella, ond’egli sospira.
 SESTIA
 (Di me si parla).
 BIRCENNA
                                  Sestia? (A Turio)
 TURIO
                                                  Appunto quella. (A Bircenna che si ferma a guardar Sestia e poi a Turio si volge)
 BIRCENNA
 Se non l’amasse il re, direi che è bella.
 SESTIA
 (S’avanzano a turbar la mesta pace,
230in cui solinga col mio duol ragiono).
 BIRCENNA
 Glaucilla, io tal m’appello, alla felice
 Sestia del suo dover reca gli omaggi.
 SESTIA
 Se felice, o Glaucilla, e se superba
 mi credi, in error sei. Me in stato abbietto,
235circondano miserie.
 BIRCENNA
 Gran beltà e gran fortuna
 s’accoppiano sovente.
 SESTIA
 Né di quella io mi pregio;
 né di questa ho vaghezza.
240Ove tende il suo dir? (A Turio)
 TURIO
                                          Quella che intorno
 fama di te risuona a lei pur giunse.
 SESTIA
 Fama è avvezza a mentir.
 BIRCENNA
                                                 Come ben finge! (A Turio)
 Non dirai già così, quando i vassalli (A Sestia)
 popoli avrai d’intorno.
 SESTIA
245Son romana. Il sai tu?
 BIRCENNA
                                           Gloria di Roma
 sarà che a te, sua cittadina e figlia,
 di corona real splenda la chioma.
 SESTIA
 Mal parli e peggio pensi.
 BIRCENNA
 Eh! Si sa che fra poco andrai regina
250al talamo di Pirro.
 SESTIA
 Di Pirro?
 BIRCENNA
                     E le accortezze
 delle tue ritrosie si sanno ancora.
 L’arte di guadagnar l’alte fortune
 sta in mostrar di sprezzarle.
255L’intendo anch’io. Così sedotto è Pirro;
 e Sestia occuperà ciò ch’è dovuto
 a Bircenna, cui servo, a lei che è figlia
 dell’illirio monarca.
 TURIO
 (Alterezza gentil!)
 SESTIA
                                    Se la baldanza
260di parlarmi così ti vien, Glaucilla,
 dal presente mio stato,
 d’alma vil ti palesi e ancor maligna.
 In chi ha nobili sensi,
 pietà ’l misero desta;
265e insultar la miseria è un meritarla.
 Se punto ha di virtù la tua Bircenna,
 condannerà i tuoi sensi. Io non l’offesi.
 Né mi cal del suo Pirro
 né del suo trono. Ella se l’abbia e il goda.
270Non mirano sì basso
 i degni affetti miei.
 Schiava qual sono, io non invidio a lei.
 
    Altro senso ed altro amor
 mi sta fitto in mezzo al cor;
275al re amante ed al suo trono
 né pur dono un sol pensier.
 
    L’abbia suo chi ’l puote amar.
 Figlia a Roma, ho egual valor,
 s’ei lusinga, a nol curar,
280s’ei minaccia, a nol temer.
 
 SCENA VI
 
 BIRCENNA e TURIO
 
 BIRCENNA
 Udisti con qual fasto
 risponda e tratti i re?
 TURIO
                                          Quell’alterezza
 torna in pro di Bircenna.
 Non riamato è Pirro. Ecco per lei
285nell’affetto una speme,
 nell’ingiuria un piacer.
 BIRCENNA
                                             Tutte ella dunque
 contra Pirro infedel l’ire rivolga.
 TURIO
 E le vendette ancor. Me la gran donna
 avrà non vil compagno.
 BIRCENNA
290Che? Quando in armi è Pirro
 contra Roma per voi, tal gli si pensa
 render mercede?
 TURIO
                                   Ah! Tu non sai qual duro
 giogo per lui ne prema.
 Meno Roma or temiam. Ma quando ancora
295altra in Turio ragion d’odio non fosse,
 dal tuo bel labbro esca un comando; e a norma
 del tuo cor reggo il mio.
 BIRCENNA
                                              Tanto già m’ami?
 TURIO
 Dal tuo sguardo primier vinto e conquiso.
 BIRCENNA
 Un facile amator non è costante.
 TURIO
300Il vero amor nasce in un punto; e il breve
 tempo, che s’interponga
 tra il mirar vago oggetto e il non amarlo,
 è un torto alla beltà. Chi tosto l’ama,
 meglio il poter ne riconosce e il merto.
 BIRCENNA
305Orsù, ti credo amante e lo gradisco;
 ma salda fé n’esigo e pronta aita.
 TURIO
 A costo anche di vita.
 BIRCENNA
 Nulla tentar, s’io nol comando. A Pirro
 moverò per Bircenna i primi assalti.
 TURIO
310E se al dover non cede?
 BIRCENNA
 Di Turio allor cimenterò la fede.
 
    Credo; e t’accetto amante;
 e amor ti renderò;
 ma pria da te vorrò
315prontezza e fedeltà.
 
    Più d’uno a bel sembiante
 tutto promette amando;
 ma al primo che il cimenta
 difficile comando,
320s’arretra, si sgomenta;
 e meritar non sa.
 
 Stanza del tesoro di Pirro con tre porte, l’una laterale e due a’ fianchi della facciata, le quali guidano l’una agli appartamenti di Sestia e l’altra a quelli di Pirro.
 
 SCENA VII
 
 VOLUSIO in abito di soldato macedone armato di scudo
 
 VOLUSIO
 Io vivo ancora, o dei quiriti; e vivo,
 vostra mercé, perché corregga un fallo
 del braccio e non del core.
325Generoso fu il colpo;
 ma la vittima errai.
 Raggiugnerolla. Oh! Fra tue guardie io possa
 qui sorprenderti ancor. Tremane, o Pirro,
 e per Sestia e per Roma. In tua ruina
330due furie ho al fianco e assai fora una sola.
 Queste armi e queste spoglie
 fan parermi macedone; ma il core
 e sente e sa d’esser romano. Sestia,
 sgombra le amare angosce.
335In tua aita, in mia gloria, a miglior fato
 gl’immortali del Tebro
 custodi dei Volusio han riserbato.
 
    Anima del mio core,
 frena le care lagrime
340né sospirar per me.
 
    Pien di coraggio e amore
 vivo, idol mio, consolati,
 vivo alla patria e a te.
 
 Vien Pirro e seco è il padre
345di Sestia. O inciampo! È forza
 ch’io l’ire affreni e non  veduto attenda. (Entra per una porta)
 
 SCENA VIII
 
 PIRRO e FABBRIZIO, seguiti da alquante guardie, due delle quali recano poi due sedie
 
 PIRRO
 A sostener la guerra,
 vedi, qui ha Pirro accolti ampi tesori.
 FABBRIZIO
 I tesori de’ re sono gli amici.
 PIRRO
350Mancar possono amici, ov’è ricchezza?
 FABBRIZIO
 No, se al merito in seno ella si spande,
 che gl’indegni arricchir non è da grande.
 PIRRO
 Partite; (Le guardie si ritirano) e qui sediamci.
 L’armi, che ho mosse dall’onor costretto,
355non mi levan dal cor che i tuoi non brami
 cittadini in amici e te più ch’altri,
 per senno e per valor famoso e chiaro.
 Sdegnomi con fortuna,
 tanto a te de’ suoi beni
360ingiustamente avara. Io de’ suoi torti
 soffrir non vo’ che più t’aggravi il peso.
 FABBRIZIO
 Se pensi...
 PIRRO
                      Attendi. In mia real grandezza
 di nulla più mi pregio
 che del farne buon uso.
365Per lo più l’indigenza
 preme i migliori; e chi ha il poter di trarli
 di miseria, e nol fa, mal degli dei
 le veci adempie. Or dove
 collocar potrei meglio
370i lor doni che in te? Tuoi sien questi ori,
 tue queste gemme. Io non esigo, offrendo,
 cosa indegna in mercede.
 Contro di Pirro a Roma
 servi e al dover. Non compro la tua fede.
 FABBRIZIO
375Gran re, ch’io in lari angusti
 regga la mia famiglia e la nutrichi
 di parchi cibi in orticel raccolti,
 de’ miei sudori asperso,
 è ver. Non però senso
380di povertà mi turbò mai né questa
 mi fu inciampo al salir que’ gradi eccelsi
 che i più degni han fra noi...
 PIRRO
 Sì, ma qual lustro...
 FABBRIZIO
                                      Attendi.
 Tutto il ricco apparato,
385che al decoro convien de’ magistrati
 e de’ pubblici uffizi, alle famiglie
 non son di aggravio. Eburnee selle e fasci
 e servi e saghi e toghe e quanto è d’uopo
 Roma a noi somministra. Ella n’è madre
390comun. Nostro è il suo erario. In lei siam ricchi.
 Qual dunque a me da’ tuoi tesori e doni
 comodo e pro, quando soverchi e vani
 a me son nel privato
 e nel pubblico stato?
395Accettandogli, o re, que’ perderei
 che son veri tesori e beni miei.
 PIRRO
 Magnanimo Fabbrizio, io tal ravviso
 valor nel tuo rifiuto
 che, per esserti amico,
400già m’obblio d’esser re. Del cor di Pirro
 giustifica gli affetti
 la beltà della figlia
 e la virtù del padre.
 Chiamisi Sestia. Io l’amo.
 FABBRIZIO
405Che! Tu di Sestia amante? (Si levano)
 PIRRO
 Sì, per farla regnante.
 Sia in tua mano la pace
 e di Pirro e di Roma;
 né ravvisar si sappia in tal destino,
410se miglior fosti padre o cittadino.
 
    Dona la pace a Roma;
 rendi il riposo a un re;
 tanta non contrastar sorte alla figlia.
 
    Certa non ascoltar
415ruvida austerità
 che par virtù e non è
 se, in altrui danno e tuo, mal ti consiglia.
 
 SCENA IX
 
 FABBRIZIO e poi SESTIA
 
 FABBRIZIO
 (Pirro amante di Sestia?
 E Sestia il sa? Sestia mi parla e tace?
420Che ne deggio pensar?) Figlia.
 SESTIA
                                                          Buon padre.
 FABBRIZIO
 Ti sovvien, benché schiava,
 che libera nascesti?
 SESTIA
 Gl’insulti di fortuna
 non han sovra il mio cor dominio e possa.
 FABBRIZIO
425E che fuori di Roma
 non v’è bene per te, non v’è grandezza?
 SESTIA
 Tutto anzi oggetto di disprezzo e d’ira.
 FABBRIZIO
 E Pirro ancor?
 SESTIA
                              Più ch’altri.
 FABBRIZIO
 Re grande, invitto...
 SESTIA
                                       Per valor feroce,
430per fortuna superbo,
 nimico a Roma e che con guerra ingiusta
 del suo poter s’abusa.
 FABBRIZIO
 Anche in danno di Sestia?
 SESTIA
 Non mi posso doler d’atto scortese.
 FABBRIZIO
435Cortesie di nimico insidie sono.
 Sovente egli a te venne.
 SESTIA
 Onor non chiesto, io non potea vietarlo.
 FABBRIZIO
 Che ti disser suoi sguardi in te sì attenti?
 SESTIA
 Co’ suoi di rado s’incontraro i miei.
 FABBRIZIO
440Che, Sestia, i suoi sospiri?
 SESTIA
 Pietà gl’interpretai data a’ miei mali.
 FABBRIZIO
 Né mai d’amor ti favellò?
 SESTIA
                                                 Taciuto
 non t’avrei l’ardir suo, non il mio rischio.
 FABBRIZIO
 Rischio ben lo chiamasti e l’hai vicino.
 SESTIA
445Come, o signor?
 FABBRIZIO
                                 Pirro è tuo amante e t’offre
 la corona di Epiro.
 SESTIA
                                     Ahimè! E di tanta
 sciagura mia nunzio si elegge un padre?
 FABBRIZIO
 Vuoi miglior testimon di tua virtude?
 SESTIA
 Deh! Spaventa il suo amor col mio rifiuto.
 FABBRIZIO
450Mal s’irrita chi può quello che chiede.
 SESTIA
 Dopo i miei ceppi e dopo
 Volusio estinto, un peggior mal v’è ancora
 per me?
 FABBRIZIO
                   No, figlia, se avrai cor.
 SESTIA
                                                             Mancarmi
 se il cor potesse, non sarei tua figlia.
 FABBRIZIO
455A che mi astrigni, dispietato onore! (Dà mano ad uno stile senza snudarlo)
 SESTIA
 Rinnova pur, rinnova i prischi esempi.
 Forte sia la tua man. Mi sarai padre
 più nel tormi la vita
 che non fosti nel darla.
 FABBRIZIO
460Figlia, a sì duro passo
 non siamo; e quando ancora
 avessimo a temere un Appio in Pirro,
 sovra te, che di Pirro
 prigioniera ora sei,
465qui ragion non avrei.
 SESTIA
 Ah! Che senza il tuo braccio...
 FABBRIZIO
                                                        Il tuo ti resta.
 Prendi. Un ferro all’onor basta in difesa. (Lo dà a Sestia)
 SESTIA
 Intendo...
 FABBRIZIO
                     E se mai Pirro
 osi con atto indegno...
 SESTIA
470Lo svenerò.
 FABBRIZIO
                        No. Spiacerebbe a Roma
 liberarsi così d’un tal nimico.
 Colpo d’onor t’addito,
 non di furor.
 SESTIA
                           Qual dunque
 riparo avrò da’ suoi mal nati amori?
 FABBRIZIO
475Sestia, quello è mio acciar. Vibralo e mori.
 
 SCENA X
 
 SESTIA e poi VOLUSIO
 
 SESTIA
 Vibralo e mori! E quando
 uscì miglior comando,
 padre, da te? Liberatore acciaro,
 ti bacio e mio già sei;
480né di scorno ti fia passar dal pugno
 del maggior de’ Romani a quel di donna,
 la più infelice, sì, non la più vile.
 E tu, amabil Volusio, ombra adorata,
 raggirati a me intorno;
485e ben tosto vedrai con qual valore
 venga teco ad unirmi,
 mercé a questo, che stringo,
 ferro letal, nel regno opaco e cieco.
 VOLUSIO
 Ferro non giova a chi Volusio ha seco. (Volusio esce improvvisamente e, tolto di mano a Sestia lo stilo, frettoloso si parte)
 
 SCENA XI
 
 SESTIA
 
 SESTIA
490O dei! Che udii! Che vidi!
 Fu Volusio? Fu un’ombra? Il suon fu certo
 quel di sua voce: e il raggio
 quel fu degli occhi. Io l’ho nel cor. Ma l’armi,
 lo scudo, le divise
495son di nimico. Ah! Ch’egli è morto; e un’ombra
 mi disarmò... Ma s’ei vivesse?... E s’anco
 mel rendesser gli dei,
 mossi alfine a pietà de’ pianti miei?
 
   Mi diffido; mi lusingo;
500sento il male; il ben mi fingo.
 Egro son, cui d’esser sano
 sembra allor che più delira.
 
    So ch’è inganno e credo al senso.
 L’impossibile amo e penso.
505E la credula speranza
 sta col ben cui più sospira.
 
 Il fine dell’atto primo